Mi trovavo davanti alla televisione a guardare in differita un storia registrata che pareva la mia vita e forse lo era: spettacolo scadente di seconda visione, stavo per appisolarmi e invece sono caduto dentro uno spot e mi sono visto a mezzobusto contornato da una luce azzurrina. Ero enfatico e sorridente con la protesi nuova. Lo spettacolo era iniziato da poco ed io impersonavo il presentatore: - Quantunque, quandanche, comunque: vita qualunque a tutti. – e a questo punto la trasmissione si è interrotta ed è tornata la luce che in realtà era quella del mattino che stava filtrando attraverso le persiane. Il sogno era nitido e sono rimasto immobile a ripensarlo nel dormiveglia per impedire che si dissolvesse.
Da quando prendo i nuovi ipnoinducenti faccio dei sogni insignificanti, ma sempre meglio che con i vecchi sonniferi al Valium incorporato, perché con quelli cadevo dentro un buco nero e per otto ore dormivo come un imbecille.
Col pensionamento, il tempo cronologico, svuotato d’interessi ed aspettative, scandisce ritmi noiosi e lenti, sicché mi da piacere sognare la vita, dentro la quale, nella realtà, ci sto sempre peggio e nessuno mi capisce, tanto meno lui: il medico, che da mesi si ostina a chiamare le mie sofferenze “Semplici disturbi” e non è un imbecille, tante volte ha dimostrato di non esserlo: - Dottore – gli ho detto – ho fiducia in lei, sono nelle sue mani – e lui in risposta ha spalancato le braccia verso il cielo come un Redentore.
Così è finito, come si suol dire, un certo tipo di rapporto che si protraeva da anni.
Stavolta il medico me lo sono fatto giovane e mentre andavo al primo incontro, il cuore mi batteva come per giovanile amore.
Nella sala d’aspetto c’era soltanto qualche vecchio disgraziato: d’estate a Rimini spira uno scirocco salubre e la malattia non alligna.
Pochi convenevoli, sorriso di circostanza, stretta tiepida di mano e dopo avermi fatto accomodare si è immerso nella lettura del plico di referti che gli avevo consegnato. Il suo volto era calmo, più volte ha sollevato lo sguardo senza neppure percepirmi da tanto era concentrato nello stabilire rapporti e interconnessioni. Ho sentito subito che si faceva cuore del mio stato e lavorava per riportare ordine nel caos dei disturbi: gerarchizzava, valutava, analizzava e io mi trovavo innanzi a lui in attesa di una parola, un attesa di anni per una semplice parola: il nome della malattia, la conclusione del mio penare.
Tante volte avevo anticipato il momento: - Dottore – mi dicevo davanti allo specchio per verificare l’effetto scenico – Dottore, voglio sapere fino in fondo, ho bisogno di verità – e invece nell’attesa mi sono logorato: ho cominciato a sentire un freddo che partiva dalle ginocchia accompagnato da qualche piccola contrazione dei muscoli delle cosce ed ho capito che avevo paura, ho pesato che la situazione era irreparabile e mi ha preso il terrore di sentirmi dire che sono tutto guasto.
Il dottore mi stava parlando, ma più che udirlo, l’ho intuito dal movimento delle labbra come se stesse bisbigliando o pregando, ma io non ce la facevo più a capire cosa mi diceva: tutta colpa dei sintomi che si stavano gonfiando ed occupavano tutti gli spazi liberi del cervello. Ho accantonato la mia naturale diffidenza ed ho cominciato a raccontare tutto, consapevole del rischio che si corre quando manca la garanzia. Lo stavo scrutando ed il suo viso mutava continuamente di espressione: non sembrava più quello di un medico, ma piuttosto quello di un agente dei servizi occulti, deviati, paralleli o trasversali che sia, e a questo punto mi sono fatto cauto, non ho detto nulla di quelle voci flebili che provengo dal cosmo e che riesco a captare di notte col registratore e neppure di quelle che si formano dentro le mie corde vocali per mezzo di onde elettromagnetiche manovrate da enti sconosciuti.
Il medico continuava a muovere le labbra e finalmente quando è tornato l’audio ha ripreso ad articolare parola. Mi ha detto che il mio quadro clinico è complesso e confuso, ma molto interessante. Mi ha consigliato di fare una narrazione della mia malattia e di tornare dopo una settimana.
Confesso che ho provato piacere a scrivere la storia della mia vita, ma non so quanto mi possa servire.
Sono proprio curioso di sentire il medico cosa mi dice. |